RECENSIONI / Sergio Sabbatini /
Ci sono molti libri su Jacques Lacan, anche in italiano. Il libro di Alex Pagliardini, Il sintomo di Lacan, ha alcune peculiarità che lo distinguono e che vorrei almeno accostare. Premetto che è un testo ben congegnato, con un’architettura nitida, che si misura con alcuni luoghi cruciali della psicoanalisi, in dialogo con la riflessione filosofica contemporanea: il trauma, l’angoscia, il sintomo, il reale, l’inconscio, lo sguardo, l’etica, il non-tutto. Otto dei dieci capitoli del libro sono otto sezioni che attraversano l’opera di Lacan, scritti e seminari, nel suo rapporto con Freud. Si avverte il magistero di Jacques-Alain Miller nella prospettiva dell’ultimo insegnamento di Lacan: la pratica analitica oggi non è più fondata sull’interpretazione simbolica, rivolta al desiderio e alla mancanza-a-essere, ma sull’atto analitico che prende di mira il reale, l’Uno del godimento. Non è tanto in gioco la verità, la produzione di una parola piena che scarti la parola vuota, ma una nuova pragmatica che metta al centro il corpo e lalingua, la percussione della parola sul corpo. È un passaggio incompreso dalle psicoterapie ed eluso dai postfreudiani, ma anche da una consistente scolastica lacaniana, contro la quale muove l’autore, che fatica a rimanere in un alveo concettuale sclerotizzato e vuole andare oltre, verso un lacanismo vivente, non omologato, non inquinato dalla preoccupazione terapeutica. (Cfr. Jacques-Alain Miller, Cose di finezza in psicoanalisi, corso del 12 novembre 2008, «La psicoanalisi» n. 58, Roma 2016, pp. 131 segg.).